mercoledì 17 febbraio 2010

Le pale di Anjara/1


(lo so che la foto è storta, ma è l'idea che conta)

Anjara è una piccola cittadina, chiusa tra Jerash e Ajloun, su a nord, tra le alte colline giordane. Tutt’attorno c’è il verde dei campi e degli uliveti. Il cielo è il solito cielo giordano, altissimo e azzurro.

Scesi dall’autobus, diventiamo in pochi secondi l’attrazione principale del paese, in questo venerdì mattina che sa di primavera. Due passi per la città, con la gente che si volta a guardarci, i bambini che salutano, capre e gatti dappertutto. E un sole che non par vero, in pieno febbraio. Gli alberi sono già in fiore. Lo smog e il caos l’abbiamo lasciato ad Amman, oggi.

Un giorno libero, per una volta. E abbiamo deciso di passarlo qui, ad Anjara, facendo visita a Padre Hugo e ai ragazzi della sua parrocchia.

Sotto il pergolato a cui Padre Enrique tenta disperatamente di dare una forma, corrono bambini, porcospini e tartarughe di terra (o per lo meno ci provano, a correre). Mentre giriamo per il giardino, Padre Hugo ci racconta della parrocchia e della piccola comunità di accoglienza che ha messo su lì, in mezzo alle colline giordane. Ci sono bambini di tutte le età, con storie diverse (che poi non sono mai tanto diverse) alle spalle. Lì c’è tanto spazio, tanto tempo, tanto sole, tante cose da fare. Tutti assieme.

Andiamo a visitare il santuario mariano, il più grande di tutto il Medio Oriente (e quanto orgoglio c’è in Padre Hugo mentre ce lo dice).

In un angolino, nascosto tra le panche, dietro alle colonne, c’è Ian. È un pittore. È inglese. E vive ad Anjara da un anno, ospite di Padre Hugo. Lavora alle nuove pale per la chiesa parrocchiale, che devono essere pronte per la fine di marzo. Sulla carta tutto è fatto: ci sono gli studi, i cartoni preparatori, lo schizzo d’insieme e quello dei particolari. Manca solo di mettere tutto lassù, sulle grandi tavole di legno, in verde, azzurro e oro. Ogni cosa, ogni piccolo segno, deve avere un senso. L’obiettivo di Ian è di ricreare uno stile figurativo tipicamente arabo, lontano da occidentalismi e bizantinismo vari. Lui, inglese, vuole fare l’arabo. Io non me ne intendo, ma credo che ci stia riuscendo. Dietro a quelle figurine c’è tanto studio, ci sono ore sui libri, ore di carta, matita, compasso e righello, prove, carte stracciate e punte da rifare, chilometri di gomma sprecati. Per quel che ho potuto vedere, ne è valsa davvero la pena.

La prima pala, quasi finita, al centro c’è Giuseppe che riceve la visita di Gabriele nel sonno. Per Ian è quello il vero significato della fede cristiana: riuscire a credere. Giuseppe, grande, assopito, al centro della scena, lo ricorderà a tutti i fedeli, nella chiesa di Anjara.


P.S. se passate da Anjara, Padre Hugo vi chiederà di trovare, nella pala, i tre dinosauri. Io sono riuscita a trovare pure i Puffi. Ma questa è un’altra storia…e no, Ian non mi pareva molto contento dlla mia scoperta…

P.P.S. torneremo ad Anjara, anche per vedere come prosegue il lavoro di Ian. Che se poi avesse bisogno di una mano, io un pupazzino sono pure disposta a disegnarglielo, laggiù, nell’angolino…dai, che non se ne accorge nessuno…

P.P.P.S. per farmi vedere quanto sono brave, due bambine mi hanno cantato Adeste Fidelis. In italiano. E io la so solo in latino. Mi sa che sono proprio vecchia…

1 commento:

  1. perfino i post che pubblico ormai sono giordani: tre font diversi, tre dimensioni diverse...evidentemente il computer si è giordanizzato definitivamente e io non posso farci nulla. spero riusciate a capire...

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