Mi giro e mi trovo di fronte una donna completamente blu. Non ho ancora visto Avatar, ma ora è lui che guarda me. Conseguenza del ritrovarmi in mezzo ad un raduno di cosplayer. Quando Ken il guerriero sfida la realtà dall’alto di un metro di passerella capisco che 2 parole sulla fine della missione dovrò scriverle. Due parole vorrei scriverle. Poi Julia lo raggiunge, i due si baciano, ed io mi dico che non è ancora ora. Ora. Mi giro intorno, sono l’unico “in borghese” e, in quanto tale, diverso.
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Lui è Douihg, un giovane Morgan: “Zingaro dei mari”. Un mese fa aveva tutte le dita, ma poi è successo che nella palafitta in cui vive con altri 2 ragazzi sono scomparsi dei soldi. Nessuno era stato. In questi casi la prova del fuoco rivelerà il colpevole. E così i tre cacciano la mano destra nelle braci: il 1° a levarla sarà il colpevole, lo sanno tutti. Ma nessuno ritira l’arto per un bel po’, fin quando non iniziano ad avvampare. Douigh perde l’anulare. I soldi saltano fuori, erano semplicemente sotto a dei panni, nessuno li aveva nascosti. Il fuoco non mente.
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Non è facile uscire dalle caselline. Quando una letterina è scritta in una casellina non ne esce più. Non è così semplice. Alcune persone non si rassegnano all’idea che io viva in Italia. Ogni volta che m’incrociano si sorprendono:
“Cosa ci fai tu a Milano?”
“Ci vivo”
“Beh, ma sei qua di passaggio, vero?”
“Siamo tutti qua di passaggio”
“Ma quando riparti?”
“Non saprei, non ho viaggi in programma”
“Non me lo vuoi dire?”
“No, è che davvero… ok, riparto ad aprile”
“Per dove?”
“Vado nel Combala”
“Ah, ecco, appunto, non ci sei mai!”
“Già”
Credo rassicuri sapere che io sia a spasso per il mondo: non so se x’ questo lo renda un posto migliore ai loro occhi, o forse x’ rende me una persona migliore, o forse ancora rende loro stesse persone migliori. Non credo si tratti soltanto di un economizzatore cognitivo: certo, è + facile non modificare il file nella loro testa “Paolo fuori dall’Italia”, ma non è solo quello. Percepisco in loro una sorta di delusione quando temono che io abbia deciso di fermarmi.
Ciò messo anni a capire che il logo della Feltrinelli rappresenta una F rovesciata. Era un logo che non avevo mai interpretato. Non mi era mai messo a cercare di capire da dove venisse. E dove andasse. Non mi era mai interessato farlo: la casellina in cui si trovava mi andava benissimo.
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Dov’erano finiti i Morgan ai tempi dello tsunami? Erano sulle colline: gli antenati li avevano tramandato che quando il mare si ritira poi ritorna. Più si ritira, più ritorna. Se si ritira un casino, poi è un casino. E mentre i turisti occidentali facevano foto ricordo sull’inaspettato bagnasciuga e i thailandesi raccoglievano pesci e ostriche scoperti dal rientro delle acque, loro salirono spaventati sulle colline. Per salvarsi.
Scelta identica la presero i Jarawa, sulle Andamane: loro sapevano che in questi casi bisognava seguire gli animali, e allora si misero dietro ai cani che fuggivano nell’entroterra. Per salvarsi.
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L’aereo che ci porta a casa sta sospeso per una notte lunghissima, viaggiamo colla luna, che cammina con noi. Avere la luna dalla propria parte è diverso da avere la luna e basta: è il sogno di un vampiro, non l’incubo di un lunatico. Quando atterro soffice sul manto innevato di Malpensa appena illuminato dall’alba, mi chiedo se mai Natale è passato. Sensazione che si prova quando non si chiude bene qualcosa, questa si sbrodola su parte della vita che segue. In fondo questo scritto svolge proprio la funzione del bavagliolo pulitore.
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Un bambino che nasce in ospedale, a Patong, e nel letto adiacente una mamma che muore. Dove sono finiti i Birmani? Quelli che ce la fanno emigrano massicciamente in Thailandia. Qua li attendono i destini più diversi. Questa donna ha 31 anni, è sposata da 4 mesi ad un suo connazionale venticinquenne; è il suo terzo marito e la donna ha un primogenito di 5 anni ed un secondogenito di 2 anni e mezzo. E poi ha l’aids. Sonima è l’operatrice Caritas che, tra le migliaia di altri compiti, va in ospedale a tradurle le domande dei medici, e ci racconta questa storia. A mia volta traduco pezzetto dopo pezzetto ad Alberto, fino a quando non trovo più la voce, siamo alla fine della missione. Volto la testa ed Alberto ha inforcato gli occhiali da sole. Arrivano i due bambini, corrono dalla smunta mamma, che gli sorride: le parlocchiano un po’, ridendo. Non sanno che sta morendo, non sanno cos’è la morte, non sanno che il nuovo papà ha il visto in scadenza e a breve sarà rimpatriato; rimarranno da soli, a meno che Sonima non riesca in qualche miracolo burocratico, dice che ogni tanto gli viene, è un lavoro di diplomazia, reti, contatti. Come giocare a Shangai, salvare le bacchette senza smuoverne altre che potrebbero infastidirsi. Ed anche noi siamo diventati bastoncini di Shangai, la nostra missione rientra nel gioco della diplomazia. Lo sa fin troppo bene Mr. T, quando ci spiega come ha ricavato dalla nostra prima cena informazioni rispetto ai cibi che preferiamo, a quelli che ci fanno stare meno male ed agli ambienti serali di nostro maggiore gradimento. Mr. T, che persona.
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Portai i bagagli della Mangusta fino allo scompartimento giusto, poi andai a una bancarella a comprargli un dosa avvolto nella carta. Era il suo spuntino preferito, quando prendeva il treno. Ma prima di darglielo lo aprii e rimossi le patate buttandole in mezzo alle rotaie, perché le patate lo facevano scoreggiare, e la cosa lo metteva di cattivo umore. Un servo deve conoscere l’apparato digerente del suo padrone da cima a fondo, dalle labbra all’ano.Aravind Adiga, La tigre bianca, Einaudi, 2008, Torino, pgg.101-102
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Come se il caporalato non fosse un fenomeno italiano. In Thailandia, largo del Mare delle Andamane, ci sono barconi con birmani clandestini a bordo, e i datori di lavoro li raggiungono e si scelgono i pezzi forti. Se uno (o una) rimane troppo sulla nave, non scelto, vien buttato in acqua. Ma è solo una delle storie che abbiam sentito. Ed in Italia ce ne sono altrettante.
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La teresina raccontava: “Mi chiedono perché io pensi solo ai lebbrosi, se gli altri non siano poveri. Beh, rispondo, io penso a questi, voi pensate a quelli!”.
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Max è un centrocampista dal piede educato e il passo saggio, se gli appoggi dietro la palla sai che questa tornerà su, ed è un bel sapere. Uscendo dal campo mi chiede com’è la Thailandia. Gli spiego che ci sono andato per lavoro, ma lo sapeva. Provo a formulare una risposta sensata, e accatasto lì qualcosa. Rincasando in concomitanza col concerto di Vasco, la missione asiatica non rientra nell’ordine del giorno, ma è giusto così: poche persone me ne hanno chiesto, oltre al taxista. È arrivata l’ora: se non la racconto a me, non riesco a raccontarla a nessuno.
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Frodo: Vorrei che non fosse accaduto nulla.________________________________________
Gandalf: Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere; possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso.
Lungi dal sentirci inseguiti dai Nazgul, riprendiamo ugualmente a correre appena scesi dalla scaletta. Il tempo che ci viene concesso è liminale e butto giù qualche riga (c’è chi la tira su, per reggere il ritmo). La missione è finita, vedremo cosa farne. Per intanto saluto i compagni di viaggio.
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Ciao. Dimenticavo: le prime due foto sono di Alberto Minoia.
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1 orizzontale: La fine della missione.